il caso yara


Recensione e Riflessioni, Docu-Serie TV Netflix



Condannato all'ergastolo per l'omicidio di Yara Gambirasio. Dipinto come un pedofilo, assassino, bugiardo. Massimo Giuseppe Bossetti è (secondo l'accusa) colpevole oltre ogni ragionevole dubbio; ma sarà veramente così? Una docu-serie disponibile su Netflix, prova a raccontarci cosa è realmente accaduto. 

Era il 2010, la tredicenne Yara Gambirasio, come era solita fare, dopo aver trascorso del tempo nella palestra della sua città, da sola, si accingeva a tornare alla sua abitazione, distante un paio di chilometri dalla struttura. E' autunno inoltrato, fa freddo, è buio. La piccola Yara è abituata a fare quel percorso senza essere accompagnata da un genitore o comunque da un adulto, è una prassi consolidata nel tempo, una routine che rassicura la giovane e la sua famiglia. 

Resta comunque una bambina, non ancora ragazza, da sola, di notte, in una strada trafficata della provincia bergamasca. Cosa è accaduto dopo, purtroppo lo sappiamo tutti. Yara Gambirasio, non arriverà mai a casa. Sparisce nel nulla, iniziano le ricerche che però non conducono ad alcun risultato. 

A distanza di circa sei mesi, casualmente, un cittadino trova il corpo della piccola Yara, ormai irriconoscibile ed in stato di avanzata decomposizione. In un campo a pochi chilometri da Brembate, città della ragazzina. Luogo in cui, casualmente, pochi giorni prima un giovane sudamericano è stato assassinato, dopo una lite maturata nella vicina discoteca, un regolamento di conti, archiviato frettolosamente dagli inquirenti che nonostante gli accertamenti in loco, non avevano notato il corpo di Yara Gambirasio. Errore, Svista o semplicemente quel corpo ancora non c'era? 

Dopo il ritrovamento del corpo, inizia un nuovo filone delle indagini che fino ad allora barcollavano nel buio. Poche ore dopo la scomparsa di Yara Gambirasio, le forze dell'ordine intercettano la telefonata di un marocchino che in fuga dall'Italia, ad un amico dice la frase "Allah perdonami, non l'ho uccisa io". Lo straniero viene bloccato quando la nave che lo doveva portare nel suo paese d'origine, stava già entrando in acque internazionali. 

Il colpevole, o almeno uno dei possibili colpevoli, pare dunque essere stato catturato con prove abbastanza compromettenti, in quanto il ragazzo è un muratore che lavora a pochi metri dalla palestra in cui Yara Gambirasio si allena ogni giorno e poi quella frase che non ammette interpretazioni. Eppure... qualcuno dice che ben tre interpreti hanno frainteso le sue parole, si interpella un madrelingua marocchino che scagiona il sospettato, dicendo che la frase aveva un altro significato. Morale, il marocchino è libero, le indagini ripartono, la rabbia del popolo che già iniziava a farsi sentire, viene messa immediatamente a tacere. 

Come racconta la Serie TV "Il Caso Yara" le indagini sono state per anni condotte in modo abbastanza discutibile, non si cercava il colpevole ma un colpevole, un nome da dare in pasto alla stampa e ai cittadini, una figura che potesse prendersi la colpa di questo orribile atto criminale, qualcuno da sbandierare come un trofeo per la procura e per lo stato. 

In questi casi, Rosa e Olindo insegnano che si cerca sempre l'obiettivo più facile da colpire, una persona non particolarmente istruita, con magari qualche scheletro nell'armadio utile per dipingerlo come mostro anche se in realtà tale non è insomma il classico capro espiatorio. 

Purtroppo per la procura, un personaggio del genere, non si trova. Quando si rinviene il corpo di Yara Gambirasio, entra in scena la scientifica che inizia le sue analisi che anche in questo caso appaiono poco credibili, poco attente e piene di lacune. Si trova casualmente, una micro particella di DNA sugli slip strappati della ragazzina. Sarà il cosiddetto "ignoto uno". Scopriremo poi che sulla giacca sporca di sangue di Yara, vi era anche una buona quantità di DNA di Silvia Brena, ovvero l'insegnante di ginnastica della piccola Yara ma questo particolare inquietante ed inspiegabile, non verrà mai preso in considerazione dagli inquirenti. 

Un altro dettaglio ignorato dalla procura, anzi, usato dalla procura stessa per incrementare l'odio e i sospetti su Massimo Bossetti è il cosiddetto video del furgone del muratore che negli stessi istanti in cui Yara spariva nel nulla avrebbe girato ripetutamente intorno alla palestra. Inquietante, sospetto ma fake. Il video è una montatura. Bossetti passa una sola volta, mentre come ogni sera tornava alla sua abitazione. 

A passare invece è il "tuttofare" della palestra, un tizio schivo e abbasta strano che giurerà di non essersi mai allontanato dalla struttura in quelle ore ma evidentemente, mentiva. Perchè? e soprattutto perchè gli inquirenti non si sono posti la nostra stessa domanda? 

Pochi giorni prima del ritrovamento di Yara Gambirasio, viene trovato il corpo di una giovane ragazza indiana, con segni identici a quelli che poi verranno riscontrati sulla giovane ginnasta, ennesima casualità che non insospettisce gli inquirenti.

Mentre iniziavano a venire alla luce, tutte queste prove e mentre emergeva che il Padre di Yara Gambirasio, noto geometra del luogo, aveva avuto degli screzi che lo famiglia mafiosa dei Locatelli che proprio pochi giorni prima, vedeva i due figli del boss Pasquale finire in carcere, alimentando la pista della ritorsione di stampo mafioso, la procura inizia un'assurda ricerca del DNA, analizzando decine di migliaia di persone della bergamasca, in una folle e costosa caccia a questo "ignoto uno". 

Vengono raccolti più di 20mila campioni di DNA, analizzati e comparati con quel micro frammento, per arrivare alla famiglia del presunto colpevole. Una cosa mia vista al mondo, un'esperimento scientifico se vogliamo, negli stessi luoghi in cui pochi anni dopo, sarebbe scoppiata la pandemia della covid. Una casualità anche questa. 

Da questa immensa operazione di schedatura genetica dell'intera popolazione bergamasca, si arriva, in modo abbastanza forzato alla figura di Massimo Giuseppe Bossetti. Arrestato in diretta televisiva, è da subito dipinto come il colpevole. Mesi prima del processo, la stampa e l'opinione pubblica lo hanno già condannato. Massimo Bossetti non è un sospettato, lui è l'assassino, punto e chi se ne importa se le prove a suo carico sono tutt'altro che certe. 

La procura, lo stato, la stampa, l'opinione pubblica, il malaffare bergamasco aveva bisogno di un capro espiatorio, Massimo Bossetti era la figura ideale. Poco istruito, semplice, un goffo bugiardo che spesso si inventa piccole bugie per nascondere piccoli vizi, una famiglia con qualche scheletro nell'armadio, l'obbiettivo perfetto anche per infangare ancora una volta la figura del maschio bianco eterosessuale che ai fini propagandistici va sempre bene. 

Ormai sono passati 10 anni. Le "amiche" di Yara Gambirasio, quelle che per ultime l'hanno vista viva, di quelle ore non ricordano, casualmente, più nulla. La famiglia si è chiusa nel dolore, sanno benissimo che Massimo Bossetti non è il vero assassino, infatti non presenziano neppure al processo ma allo stesso tempo, accettano questo verdetto, meglio un colpevole che nessun colpevole. 

Dopo aver visto la Serie TV Netflix "Il Caso Yara" la nostra opinione è che "oltre ogni ragionevole dubbio", necessaria condizione per una condanna, almeno per quanto scritto nella nostra Costituzione, in questo caso, non sia affatto la certezza. I dubbi sono tanti, tantissimi. L'unica certezza è che Yara Gambirasio non c'è più e forse non sapremo mai la verità.

Fa riflettere e lasciatemelo dire fa anche un po' paura, questo modus operandi della giustizia italiana. La ricerca di un colpevole e non del colpevole, ci mette tutti in una potenziale posizione di rischio. Se ognuno di noi, cittadini normali, dovesse trovarsi al momento sbagliato, nel posto sbagliato, potrebbe rischiare la propria libertà e perdere tutto perchè chi dovrebbe garantire la giustizia, è spesso più interessato al proprio tornaconto e alla propria carriera, piuttosto che alla verità. 

Massimo Bossetti, così come Olindo e Rosa e molti altri, potremmo essere tranquillamente noi, ognuno di noi. Questo fa veramente paura, tanta paura. 


Articolo a Cura di Davide Gerbino, Correspondent Creator per DG Network e ToMyChart 


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